Lmugit a Morijo

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Lmugit a Morijo

Quando incontriamo Joseph illuminato a malapena dalla luna crescente, non riusciamo a intuire subito che è lui: “Nani?” proviamo speranzosi. “Mimi, mimi”. Ovviamente ci ha detto “sono io”, in uno scambio di battute paradossalmente europeo; il fucile governativo non scende dalla sua spalla neanche al momento di stringerci le mani. E” facile chiacchierare con lui; ci chiede che facciamo fuori in una notte così gelida, tranquillamente seduti sulle pietre dove bivaccano mamba (sette passi e sei morto): comprendiamo all”istante che aspettare le stelle cadenti non è un tipico passatempo keniota.

Joseph viene ora da una riunione serale di giovani, l”argomento all”ordine del giorno si riconduce come sempre alle decisioni del gruppo di anziani: da settimane si dibatte intorno al Lmugit, all”opportunità di iniziare oppure no questa cerimonia centrale nella vita di un Samburu. Il mio amico e io azzardiamo che farlo proprio ora ci sembra un”ottima idea; Joseph sorride (e noi intuiamo che con tutta probabilità ci lasceranno assistere) e spiega che questo mese la luna non è bella, ci sono grosse probabilità che sia rimandato.

Questa luna è bianchissima come non ne abbiamo mai viste, fievole ancora abbastanza da permetterci di vedere migliaia di stelle ma già destinata a far chiaro su ogni singola pietra: solo un vecchio Samburu può permettersi di non gradirla.

I giorni successivi tuttavia aumenta il numero di ragazzi vestiti da Moran (guerrieri); dopotutto siamo in Africa, le decisioni e gli orari degli appuntamenti sono modificati in continuazione come i tracciati delle strade i giorni che seguono alle piogge: i ragazzi del villaggio ci spiegano che i riti del Lmugit si terranno in questa luna. Non riusciamo a farci dire una data precisa, temiamo che la cerimonia coincida con la nostra escursione al lago Turkana: i riti però si susseguiranno per quasi una settimana, la fortuna non ci abbandona.

Passare dai quaranta gradi del lago ai diciotto di Morijo, 2075 metri, lascia intatta la nostra eccitazione: visti da fuori siamo quattro studenti disgraziati con le macchine fotografiche regalate alla prima comunione; eppure ci sentiamo antropologi di chiara fama ammessi dopo lunghe mediazioni culturali (probabilmente, simpatia dimostrata nel delicato ambito delle partite pomeridiane a pallavolo – interazione tra culture da non sottovalutare ) alla loro festa più tribale.

Il consiglio degli anziani ci ha messo poco tempo a decidere di ammetterci tutti quanti – incredibilmente, donne comprese – ad assistere ai riti; dopotutto i Morani hanno quasi la nostra età, sono la fascia del villaggio che conosciamo meglio: giriamo liberamente nella zona del Lmugit toccando tutto e facendoci spiegare ogni cosa.

Ci presentiamo in mezzo alla foresta al mattino presto, appena inizia ad albeggiare: è il momento in cui per ogni Moran verranno uccise decine di capi di bestiame. Gli animali seguono gli uomini quasi docilmente; le capre vengono soffocate e le mucche sgozzate, quello che importa è far raccogliere il sangue nella zona vicino al collo. La prima parte dell”operazione consiste nel danneggiare i centri nervosi posti sulla nuca della bestia, per fare in modo che non senta dolore; prima di aprire una ferita sulla gola, i guerrieri riempiono di foglie la bocca dell”animale – così che la morte lo raggiunga in un contesto naturale. Secondo la tradizione, il guerriero che beve il sangue del capo ancora vivo troverà un nuovo vigore; tagliano un lembo di pelle dal collo mentre il cuore pulsa ancora, la bestia è viva ma non sente nulla; la visione del rito non ci impressiona, ogni cosa avviene quasi con dolcezza.

Un Samburu nel corso della vita vivrà quattro Lmugit; il primo lo farà uscire dall”età dell”infanzia per diventare Moran: dovrà tenere gli occhi aperti e la bocca chiusa mentre sarà circonciso, pena il disonore. Il secondo Lmugit serve semplicemente a far fare una scorpacciata di carne a tutto il villaggio (ufficialmente, a rinvigorire i guerrieri); il terzo è quello che stiamo vivendo noi, in cui i ragazzi usciranno dal periodo del moranato e si potranno sposare. Fortunati quelli che non saranno divorati da leoni (reali, oppure in senso tristemente metaforico, leoni che vengono dal mondo ricco, chiamati HIV o desiderio di avventura che rimarrà inappagato, perchè i ragazzi che se ne vanno a Nairobi non ce la fanno più a campare dignitosamente come avviene qui con meno di due dollari al giorno – e a quelli che ci chiedono com”è l”Europa, com”è la nostra vita, rispondiamo che è difficile vivere senza un villaggio nel cuore) prima del quarto Lmugit: vissuto questo, saranno ufficialmente ammessi a prendere decisioni al consiglio degli anziani – il fatto che questo avvenga appena dopo i 35 anni turba un pochino un paio delle nostre ladies.

Visto che di circoncidere il nostro ventenne italiano proprio non se ne parla, gli offrono quantomeno di favorire qualche sorsata di sangue caldo (anche voi siete le benvenute, ladies, karibu karibu!): rifiutiamo, dal momento che con la diarrea abbiamo già perso svariati scontri.

Eppure chissà, magari un pò di coraggio in più ci avrebbe aiutato nel momento in cui abbiamo detto addio a tutti: un pò di coraggio per l”ultima sera, quando passiamo la notte gelida tutti insieme sulla cisterna dell”acqua, e i ragazzini ci chiedono con la massima serietà se sulla luna ci siamo già stati; un altro pò per sostenere il loro sguardo quando lasciamo l”intero contenuto delle nostre valigie, accorgendoci che abbiamo portato montagne di scarpe e vestiti, per ragazzi che chiedono libri e preservativi.

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